Purtroppo, proprio per questo motivo – ossia per il fatto che la maggior parte di noi, non afflitta da problemi di disabilità, utilizza come semplici comodità quelle che per un inabile sono strutture necessarie – si è diffusa, ed è profondamente radicata, una visione del problema deformata e scorretta, ossia quella che a rendere giusto l’impegno per offrire ai disabili servizi e strutture sia la decisione di ricompensarli, con qualche comodità in più, del dolore e della fatica quotidiana che la loro situazione comporta.
Il problema è proprio che, a prima vista, questo appare un modo di vedere le cose molto nobile, per non dire magnanimo; tuttavia, un’analisi sincera lo svela come una visione superba e discriminante, che fra l’altro ha il tornaconto di costare ben poco in termini di impegno e difficoltà. Guardando il problema in quest’ottica, ci illudiamo che sia una questione appunto di carità, quando è invece un debito di civiltà e di estensione doverosa a tutti di quei diritti che giustamente ci onoriamo di definire fondanti per la nostra società.
Avvicinandoci dunque alla questione dell’abbattimento delle barriere architettoniche, proviamo ad utilizzare un atteggiamento più imparziale, e soprattutto più ragionevole, l’unico che possa, con un semplice argomento qui riassunto in tre soli passaggi, portare a capire il vero centro della questione;
1. la civiltà che abbiamo costruito si basa essenzialmente sul concetto che ci siano dei diritti essenziali, connaturati alla condizione stessa di uomo e cittadino, e che il loro godimento vada assicurato a tutti;
2. se diciamo “a tutti” non stiamo, giustamente, prevedendo eccezioni di alcun tipo al godimento di quei diritti di cui parliamo, meno che mai per motivi legati a malattie o sfortunate condizioni fisiche come quelle dei disabili;
3. siccome, tuttavia, la situazione di disabilità può frequentemente, in concreto, inficiare la possibilità dei cittadini che ne soffrono di godere appieno di tutti i propri irrinunciabili diritti, non c’è altra possibile scelta per una società civile che agire per rettificare la situazione e rendere possibile a tutti di godere dei propri diritti, a prescindere dalle condizioni fisiche svantaggiate.
Vero: da entrambe le prospettive, la seconda come la prima, deriva la conseguenza naturale di lavorare per individuare ed estirpare, ad esempio, tutte le barriere architettoniche. Ma la differenza rimane, ed è essenziale, per reintegrare un concetto di piena dignità per i disabili, e per descrivere la giusta e doverosa distinzione fra quello che è un dovere sociale e quella che potrebbe sembrare semplice carità.