Siamo abituati a sentir parlare, e a vedere sia dal vero che rappresentata nei film, della cosiddetta traduzione (più correttamente, interpretariato) in simultanea, dove mentre un oratore sta parlando l’interprete riformula le sue frasi nella lingua del pubblico e le pronuncia quasi nello stesso momento, come in una sorta di doppiaggio dal vivo. Ma sicuramente questa non è la sola modalità dell’interpretariato, né, di fatto, la più frequente: in molte occasioni, è più adatta alle necessità dell’oratore e del pubblico la scelta dell’interpretariato di consecutiva.
In questo caso, l’oratore pronuncia alcune frasi, e poi si ferma. A quel punto l’interprete – che ha ascoltato attentamente, spesso prendendo appunti su quanto detto – traduce per il pubblico le frasi appena dette. In quest’alternanza, (dalla quale nasce, appunto, la definizione di “consecutiva” ) il discorso dell’oratore viene portato fino alla fine, oppure, se si tratta di un dibattito, vengono portate avanti le differenti posizioni. Questo presenta sfide particolari per l’interprete – che si trova a dover ricordare l’intera parte di discorso appena esposta – ma allo stesso tempo gli permette anche di avere sott’occhio un intero “blocco” dell’argomentazione dell’oratore prima di tradurlo, il che può condurre ad una interpretazione più approfondita ed esatta.
Oltre a questo, l’interpretariato di consecutiva è sicuramente meno difficile da praticare rispetto a quello di simultanea, dove la concentrazione deve essere intensissima e l’attenzione costante, tanto da essere praticabile soltanto per periodi abbastanza contenuti, e da richiedere l’intervento, per lunghe conferenze, di più interpreti. Di contro, purtroppo, l’effettivo e inevitabile raddoppiamento dei tempi richiesti – in definitiva ogni intervento di ogni oratore viene pronunciato due volte, in originale e in traduzione – ne fa uno strumento che può essere complesso utilizzare per conferenze di respiro e ampiezza particolarmente grande, e lo rende più adatto ad interventi più brevi.