Se a scuola si ha avuto almeno una leggera infarinatura sulle grandi tragedie greche e romane, nota sarà allora l’esperienza di Medea. Quest’ultima, nipote del Sole e della maga Circe, era dotata di poteri strabilianti, in grado di superare ogni genere di ostacolo. Ella, grazie alle sue arti magiche, aiutò l’uomo che amava dal più profondo del cuore: Giasone. Questo però, nonostante l’immenso amore di Medea, nonché il suo aiuto per la conquista del vello d’oro, tradì la giovane Maga, decidendo di sposare la figlia del re Creonte, Creusa. Questo episodio portò la protagonista a maturare una riflessione molto arguta: La morte di Giasone non avrebbe mai soddisfatto la sua sete di vendetta, perché ucciderlo sarebbe significato liberarlo da ogni genere di dolore e non era concepibile da Medea, che pensò invece di sostituire alla morte dell’amante, quella dei suoi figli.
La vendetta di Tieste
Un’ltra tragedia cardine realizzata da Seneca, è stata senza ombra di dubbio il Tieste. Quest’ultimo, discendente di Tantalo, aveva un fratello, Atreo, con il quale forte fu lo scontro che vide protagonisti lo strapotere politico e il vivere secondo natura. Atreo, sulla stessa linea di Medea, esprime pienamente il concetto di morte Senechiano. Atreo infatti, a causa del tradimento di Tieste, che lo aveva privato del suo onore di marito legittimo e di padre, voleva muovere vendetta contro il fratello, che per di più, aveva rappresentato il suo più grande nemico nella contesa del regno. Atreo, personificazione del potere tirannico, decide di far vivere al fratello una vita durante la quale la sua colpa lo accompagnerà per sempre: egli gli serve, in una tavola imbandita, i propri figli, i quali vengono mangiati da Tieste. L’ingegno di Atreo supera ogni genere di inganno e pone ancora una volta l’idea che la morte vissuta in prima persona non è mai dolorosa come quando a viverla sono persone molto care.
Il concetto di morte in Seneca
Oggi come oggi, nella misura in cui perdiamo qualcuno, ci rivolgiamo ad imprese funebri, come la Cattolica San Lorenzo, in grado di rispondere a tutte quelle esigenze tecniche e umane che si presentano di fronte ad un lutto. Seneca viveva il tema della morte, diversamente da noi contemporanei, riagganciandosi alla concezione epicurea. Il filosofo infatti, era dell’opinione che la morte fosse in grado di liberare l’uomo da tutti i dolori e da tutte le sofferenze. Inoltre non può essere considerata né un bene né un male, perché è nulla e, in quanto tale, riduce al nulla ogni cosa.